Dottore, ho capito tutto, grazie."
Quante volte questa frase nasconde in realtà confusione, paura o rassegnazione? Quante volte un paziente annuisce durante la visita, per poi uscire dallo studio senza sapere davvero cosa fare, o peggio, senza fidarsi abbastanza da seguire le indicazioni ricevute?
Nel settore sanitario, fornire informazioni corrette non basta più. La vera sfida è comunicare in modo che quelle informazioni diventino comprensibili, umane e capaci di costruire fiducia. Perché tra "dire cose giuste" e "comunicare bene" c'è una distanza che può fare la differenza tra un paziente che si sente curato e uno che si sente abbandonato.
Dire cose giuste: necessario, ma non sufficiente
Fornire dati precisi, diagnosi accurate e risposte basate sull'evidenza scientifica è il fondamento della buona pratica sanitaria. È un dovere etico e professionale: consente al paziente di ricevere informazioni affidabili per prendere decisioni consapevoli sulla propria salute.
Ma la correttezza tecnica, da sola, rischia di restare sterile. Un'informazione giusta detta nel modo sbagliato può generare ansia, incomprensione o distanza. Può essere percepita come fredda, giudicante o inaccessibile. E quando questo accade, anche il miglior piano terapeutico rischia di fallire.
Comunicare bene: il cuore della relazione di cura
Comunicare bene significa tradurre la competenza in vicinanza. Vuol dire:
- Ascoltare prima di parlare, cogliendo non solo le domande esplicite, ma anche le preoccupazioni non dette
- Usare un linguaggio chiaro, senza tecnicismi inutili, adattato a chi si ha di fronte
- Riconoscere le emozioni che accompagnano ogni diagnosi, ogni referto, ogni scelta terapeutica
- Ammettere con trasparenza ciò che si sa e ciò che non si sa ancora
- Rassicurare nel modo giusto, senza banalizzare né alimentare false speranze
Comunicare bene vuol dire costruire un'alleanza terapeutica solida, in cui il paziente non è un destinatario passivo di informazioni, ma un protagonista consapevole del proprio percorso di cura.
Perché questa differenza è così importante
Quando la comunicazione si limita alla trasmissione di dati, si rischia di lasciare il paziente solo di fronte a scelte complesse, confuso o sfiduciato. E le conseguenze sono concrete:
- Riduzione dell'aderenza terapeutica: un paziente che non capisce o non si fida, difficilmente seguirà le indicazioni
- Aumento dell'ansia e delle richieste: informazioni poco chiare generano telefonate, richieste di nuovi consulti, ricerche online spesso fuorvianti
- Maggiore rischio di conflitti e contenziosi: la mancanza di fiducia è terreno fertile per incomprensioni e scontri
- Stress per il professionista stesso: pazienti più ansiosi e meno collaborativi rendono il lavoro più difficile e frustrante
Quando invece si investe in una comunicazione efficace e autentica, si crea un ambiente di cura in cui il paziente si sente accolto, rispettato e realmente supportato. E questo fa bene a tutti: al paziente, al professionista, all'intero sistema sanitario.
Due esempi concreti
Esempio 1: Il colesterolo alto
Dire cose giuste:
"Il suo valore di colesterolo LDL è 180 mg/dl, superiore alla soglia raccomandata."
Comunicare bene:
"Il suo colesterolo LDL è un po' alto, e questo nel tempo potrebbe aumentare il rischio per il cuore. Ma la buona notizia è che possiamo lavorarci insieme: modificando alcune abitudini e, se necessario, con un supporto farmacologico. Sono qui per rispondere a ogni suo dubbio e per trovare la strada migliore per lei."
Esempio 2: Una diagnosi complessa
Dire cose giuste:
"Gli esami confermano una tiroidite autoimmune. Dovrà assumere levotiroxina e fare controlli periodici."
Comunicare bene:
"Gli esami mostrano che la sua tiroide non lavora come dovrebbe, a causa di una reazione del sistema immunitario. So che può sembrare complicato, ma è una condizione gestibile. Con una terapia semplice e controlli regolari, potrà stare bene. Voglio che si senta libera di farmi tutte le domande che le vengono in mente, anche quelle che le sembrano banali."
In entrambi i casi il contenuto è corretto, ma nel secondo esempio il messaggio viene adattato al vissuto del paziente, trasmettendo attenzione, rispetto e coinvolgimento.
Come migliorare concretamente la comunicazione sanitaria
Se sei un professionista della salute, prova a partire da qui:
- Alla fine della prossima visita, chiedi: "Le è tutto chiaro? C'è qualcosa su cui vuole che ci soffermiamo ancora?" — e aspetta davvero la risposta.
- Rileggi mentalmente l'ultima spiegazione che hai dato a un paziente: c'erano troppi termini tecnici? Avresti potuto dirlo in modo più semplice senza perdere precisione?
- Concediti un momento di ascolto vero, senza pensare già alla prossima domanda da fare. A volte il paziente dice molto di più con il tono che con le parole.
- Ammetti l'incertezza quando c'è: dire "non lo so ancora con certezza, ma ecco cosa possiamo fare" è un atto di forza, non di debolezza.
- Ricorda che le emozioni contano: paura, vergogna, speranza, rabbia. Riconoscerle e accoglierle fa parte della cura.
Conclusione: ogni parola è cura
Dire cose giuste è necessario. Ma comunicare bene è una responsabilità ineludibile.
Perché ogni parola – se usata con cura, empatia e autenticità – può curare, rafforzare la fiducia e fare davvero la differenza nel percorso di salute di una persona.
E alla fine, non è forse questo il senso profondo della cura?
E tu, come comunichi con i tuoi pazienti? C'è un momento in cui hai sentito che le parole hanno fatto la differenza? Raccontamelo nei commenti, o scrivimi se vuoi approfondire insieme il tema della comunicazione autentica nella sanità.
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